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AMATKA

Idea: 3/5 Trama: 2/5 Stile: 4/5

 

Titolo Originale: AMATKA
Autore: Karin Tidbeck
Anno: 2012
Genere: FS Sociologica
Edizione: Safarà Editore

 

 

Commento:
Il romanzo è ambientato su un pianeta sconosciuto, dove i primi coloni umani, i Pionieri, sono arrivati in maniera misteriosa, dal clima apparentemente abbastanza simile a quello della Terra. Esistono quattro insediamenti. Essre sembra essere la capitale, il centro decisionale e amministrativo; Odek, un centro di produzione industriale; Balbit, un centro di ricerca scientifica; Amatka, un polo agricolo; una ultima quinta colonia è stata invece teatro di una catastrofe, anch'essa di origini e natura misteriose.
La descrizione dell'organizzazione sociale ricalca il modello oppressivo del "socialismo reale". Esiste un governo, un comitato centrale, ed ogni colonia è diretta da un comitato locale, apparentemente liberamente eletto, che dirige e controlla ogni aspetto della comunità. Le persone adulte condividono le abitazioni, spesso dovendo anche dormire nella medesima stanza con un altro compagno. I bambini vengono allevati in comunità nella Casa dei Bambini, potendo tornare dai genitori soltanto nei fine settimana (giornosei e giornosette); l'amore parentale è però represso, quasi mal sopportato dall'autorità. Apparentemente sul pianeta non esistono animali ed il cibo è costituito da funghi e verdure.
Tutto viene prodotto ma tutti gli oggetti hanno bisogno di una continua "conferma" della loro natura per evitare di decadere in una poltiglia gelatinosa dalla natura mai chiarita. Periodicamente gli oggetti devono essere etichettati e nominati, in procedure che i bambini imparano fin da piccoli, attraverso per esempio la filastrocca della marcatura. Quello che emerge è come su questo pianeta l'immaginazione e la parola abbiano un vero e proprio potere creativo; per questo che sono state imposte regole e norme così ferree, per evitare il disastro accaduto nella quinta colonia, distrutta in realtà dall'immaginazione dei suoi abitanti.
La protagonista è una giovane donna, Vanja, che viene inviata da Essre ad Amatka per indagare sull'utilizzo di prodotti di igiene personale, una satira di quei compiti assurdi affibbiati all'interno di una mostruosa burocrazia. Ad Amatka, Vanja si innamorerà della sua coinquilina, entrerà a far parte della comunità, ma soprattutto inizierà a nutrire dubbi e cercare risposte sulla vera natura del suo mondo.
Il romanzo ha un lucido strato distopico realizzato con una lineare descrizione della vita degli abitanti e della comunità di Amatka, ricca di dettagli inseriti abilmente poco a poco all'interno dell'intreccio. Il nucleo dell'opera però sta sicuramente nell'indagine sulla natura della parola, nel potere creativo del linguaggio, che richiama un po' Embassy Town di China Mieville. Rispetto a quest'ultimo, tuttavia, il tema non riesce a essere sviluppato e a trovare la medesima centralità all'interno dell'impianto narrativo, quasi che l'autrice non sia riuscita a sviluppare quell'idea, potenzialmente in grado di dare vita ad un'opera di ben altro spessore.
Alla fine, quello che rimane è una lettura interessante per l'impianto sociologico ben realizzato seppur non particolarmente originale; una trama un po' incosistente ma ben scritta, con un ritmo narrativo in crescendo verso un finale forse un po' confuso. Peccato non aver sfruttato appieno le potenzialità di un'idea geniale.

Citazione:

[1] “Valigia” sussurrò Vanja per mantenerla nella sua forma ancora per un po’. “Valigia, valigia”.

[2] Come tutti gli edifici centrali di tutte le colonie, era fatto di cemento, quel materiale raro che i pionieri avevano portato con sé. E come tutte le altre cose del vecchio mondo, non aveva bisogno di essere contrassegnato per mantenere la sua forma. Era solido, confortante.

[3] Matita, matita, matita, matita, matita, matita, aveva cantilenato, toccando le matite a una a una, finché il torrente di parole non si invertì, facendo scaturire un suono simile a tita-ma tita-ma tita-ma tita-ma, e la fila di matite aveva sussultato e si era quasi trasformata in qualcos’altro, e comprese che è così che accade, e tutto il suo petto fu attraversato da un fremito.

[4] Chiave chiave, chiave chiave, chiave, sussurrò. Si contrasse nella sua mano. Qualcosa dentro Vanja le oppose resistenza. Chiamare una cosa con un altro nome le dava ancora un vago, indeterminato orrore che le faceva bloccare i pensieri. Strinse i denti e chiuse gli occhi: Chiave, chiave, chiave, chiave. Questa è una chiave. Ho una chiave nella mia mano. Quando aprì di nuovo gli occhi, teneva in mano un bastoncino che si diramava a una estremità. Chiamarla chiave era una forzatura, ma non le aveva dato ancora una serratura da aprire.

[5] Un gruppo di bambini aveva giocato a giochi proibiti in un angolo della Casa dei Bambini Quattro. Uno di loro aveva iniziato a fingere che una cosa fosse qualcos’altro. All’improvviso, ogni altra cosa nella stanza si era dissolta.